012 - LA MISSIONE DELLA CHIESA ORIENTALE NELLA DIASPORA

Ed. La Scuola – 12-1996

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1. Breve cronistoria
La diaspora dei cristiani dall’Oriente, iniziata nei primi secoli del cristianesimo, continuò fino all’VIII secolo. Nei primi tempi, non si trattava di una fuga, come avverrà più tardi, ma era legata al mandato missionario della Chiesa. L’evangelizzazione si estese dalla Siria alle rive occidentali del Mediterraneo e all’ Estremo Oriente. Il principale centro di propagazione missionaria fu Antiochia, alla cui comunità si faceva riferimento per la preparazione dei religiosi che si apprestavano a partire. Anche l’apostolo Paolo vi sostò per un certo periodo. Durante la dominazione musulmana i flussi migratori dei cristiani avvenivano all’interno dei confini dell’impero. Negli anni dell’impero ottomano (1516-1918) sino alla spedizione di Napoleone in Egitto nel 1798 le comunicazioni tra il mondo orientale ed occidentale sono ridotte e l’emigrazione al di fuori dei territori sottoposti alla Sublime Porta furono trascurabili. Terminata l’occupazione napoleonica nel 1801, in Egitto salì al potere, nel 1805, Mehemet Alì, che si proponeva di portare il paese alla modernità, favorendone il risveglio culturale ed economico. Il nuovo clima politico attira in Egitto molti cristiani mediorientali, provenienti da paesi poco tolleranti verso le minoranze. Interi villaggi siro-libanesi si svuotano. Nel volgere di qualche anno, i cristiani inviteranno a raggiungerli i loro preti, cercando così di ricostruire la comunità. Nel corso di un’altra diaspora verso l’Occidente e il Sud America, gli emigrati diedero origine a diversi insediamenti creati in base al paese di provenienza. Nelle nuove sedi in Occidente e nel Nuovo Mondo si affievoliscono le distinzioni tra ortodossi e cattolici.


Non va dimenticata l’emigrazione delle comunità musulmane i cui membri hanno deciso per motivi economici o politici , di trasferirsi altrove. Si calcola che la diaspora musulmana abbia inciso per il 20% sul totale dell’emigrazione dal Medio Oriente. In tempi più recenti, negli anni ’60, si assiste ad una nuova, imponente emigrazione di cristiani dall’Egitto verso l’Europa e il Nord America. Era la conseguenza dell’avvento al potere di Gamal Abd el-Nasser,che cercava di instaurare uno stato pan-arabo, limitando la libertà delle minoranze e rafforzando il potere centrale dello Stato. Gli ebrei andarono così nello Stato d’Israele, creato nel 1948, cristiani di origine europea nei rispettivi paesi d’origine: Italia, Francia, Grecia, Malta e Gran Bretagna. I discendenti dei primi immigrati siro-libanesi si diressero verso il Libano e l’America. La diaspora non risparmiò neppure i copti che, pur restii ad abbandonare il loro paese, fondarono comunità in Europa, nell’ America del Nord e in Australia. L’emigrazione verso i paesi del Golfo non ebbe carattere permanente. I cristiani presenti nei paesi arabi oggi sono in diminuzione costante e soffrono per l’incertezza del futuro. I giovani trovano con difficoltà un impiego e la crisi degli alloggi non li incoraggia a formare una nuova famiglia. Coloro che hanno abbandonato la loro terra d’origine sono di gran lunga i più numerosi e di regola tornano solo come turisti.

2. Presenza cristiana
Il rischio dell’annientamento culturale è, non è ipotetico poiché le comunità cristiane in Medio Oriente sono fortemente discriminate e costrette a sopportare in silenzio la condizione di cittadini senza eguali diritti. d Non vi è alternativa se non nell’emigrazione, nella speranza di trovare condizioni di vita migliori per sé e la famiglia. Si troncano in questo modo le proprie radici storiche e culturali.

3. Emigrati in Occidente
Per chi emigra la vita non è facile. Oltre alle discriminazioni e alle difficoltà legate ai pregiudizi razziali, il cristiano mediorientale si trova a disagio nelle comunità cattoliche di rito romano poiché fino a pochi anni fa il clero era prevenuto e sospettoso nei confronti delle liturgie orientali. Sfuggiva al controllo dei patriarchi orientali la tutela spirituale dei loro fedeli. Gli ortodossi invece hanno avuto la possibilità di seguire i loro fedeli nella diaspora. Fino al Vaticano II la nomina del vescovo orientale cattolico era fatta direttamente dal papa. Soltanto dopo il Concilio si è convenuto che la scelta avvenga sulla base di una lista di tre nomi proposti dal Patriarca di Antiochia. A parte alcune eccezioni, la linea del Vaticano é ora quella di rispettare l’identità ecclesiale di ciascuno e di incoraggiare i popoli a comprendere ed apprezzare le tradizioni delle altre comunità cristiane cattoliche pur nella diversità dei riti. A distanza di anni dal Vaticano II la sensibilità e l’apertura nei confronti dei riti cattolici orientali é notevolmente aumentata. Anche il papa ha sottolineato la necessità di una maggior conoscenza del patrimonio spirituale delle Chiese orientali. Giovanni Polo II Padre ha affermato che “la Chiesa deve imparare a respirare con i suoi due polmoni, quello orientale e quello occidentale”. Oggi nel mondo milioni di cristiani orientali vivono in un realtà ecclesiale latino-occidentale di origine europea, con conseguenze inevitabili i sulla vita religiosa e familiare, soprattutto per quanto riguarda il matrimonio, con un grande aumento dei matrimoni con i cattolici di rito romano. Psicologicamente, l’emigrato tende ad integrarsi nelle comunità locali per superare il senso d’estraneità, ma anche per allacciare una rete di rapporti che lo possano aiutare dal punto di vista economico. Spesso le condizioni di chi emigra sono di grande disagio. Se da una parte l’integrazione è positiva, dall’altra porta alla perdita graduale della propria identità culturale, storica e religiosa. Ciò ha spinto il clero orientale ad una maggior presenza e una collaborazione più stretta. L’obiettivo comune dei cristiani della diaspora dovrebbe essere quello di collaborare alla costruzione del Regno di Dio, evitando l’emarginazione ma conservando insieme la propria identità ecclesiale. La civiltà è la somma di culture e di tradizioni diverse dove fiorisce e si sviluppa ciascuna identità particolare. Ciascuna comunità coltiva la coesione interna, ma nello stesso tempo si apre agli altri in un processo di inculturazione che sta alla base dell’arricchimento e della sopravvivenza.

4. Diaspora
E’ estremamente difficoltoso per gli immigrati, dato il nuovo contesto in cui vivono, trasmettere ai figli il proprio patrimonio culturale. In questo modo la ricchezza della tradizione cristiana orientale rischia di disperdersi. Per esempio, la seconda generazione di immigrati abbandona quasi completamente la lingua araba, con la conseguenza immediata di incontrare difficoltà di comunicazione con i parenti rimasti nella terra d’origine e di rendere più difficile un eventuale ritorno in Medio Oriente. La televisione, soprattutto per i bambini, é un formidabile fattore di omologazione culturale, ma crea una discrasia in più, perché i messaggi che propone appartengono ad una realtà culturalmente estranea. Le abitudini, gli usi, i costumi orientali sono destinati a scomparire se la famiglia decide di vivere in isolamento o ne è costretta . Ecco dunque la necessità di un contesto più ampio che offra possibilità d’incontro e permetta di vivere la stessa fede: la Chiesa. E’ lo stesso lavoro, in sostanza, che hanno fatto i missionari scalabriniani al seguito degli emigranti italiani, costruendo la comunità attorno alla struttura religiosa . Era questo un modo per rinsaldare i vincoli culturali, per non dimenticare la lingua e le tradizioni della patria. Bisogna tenere presente che le comunità nazionali in terra straniera possono riprodurre le tensioni e le incomprensioni del paese d’origine. E’ quanto accade tre palestinesi e libanesi, o tra libanesi e siriani. La scarsità di clero, di strutture e di risorse economiche, oltre alle restrizioni imposte dal diritto canonico, non aiutano certo i fedeli orientali a mantenere i legami con la loro Chiesa d’origine. Si stima che solo il 10-15% dei cristiani orientali frequentino le chiese dove si officia secondo il rito della Chiesa di appartenenza. Le nuove leve di seminaristi nati e formati in Occidente, pur avendo studiato la liturgia orientale, non possono adottare in occidente tutte le consuetudini delle loro Chiese. Ad esempio, chi si sposa non può essere successivamente ordinato prete, come accade invece nelle Chiese Orientali cattoliche. Il nuovo codice di diritto canonico prevede l’autorità patriarcale soltanto sul territorio della sede stessa, e non sui fedeli della diaspora. L’emigrazione dei cristiani mediorientali, alimenta le probabilità di estinzione delle Chiese orientali.

5. Missione della Chiesa orientale in diaspora
Bisogna a questo punto chiedersi quale missione hanno oggi le Chiese Orientali in questa situazione di diaspora. Va per prima cosa sottolineato che la Chiesa di tradizione orientale deve prendere coscienza del fatto che essa appartiene ad una triplice cultura: bizantina, araba e cattolica. La Chiesa é per sua natura universale, cattolica appunto, e si pone al servizio dei fedeli, di tutti i cristiani e dell’uomo in generale. Questa vocazione universale può manifestarsi in diversi modi:

. mantenendo viva la tradizione liturgica e il patrimonio religioso e spirituale delle prime comunità cristiane, facendo conoscere questa ricchezza in Occidente;
. avvicinando i cristiani mediorientali e quelli occidentali alla liturgia orientale traducendo il patrimonio culturale della Chiesa d’origine nella lingua del paese ospitante;
. formando nuovi seminaristi per ciascun rito orientale (negli USA, ad esempio, il clero melkita è aumentato con l’ingresso nei seminari di giovani provenienti dalla Chiesa romana);
. diventando, per la sua natura di “ponte” tra le culture, una pietra miliare nel dialogo interreligioso tra Oriente ed Occidente.
Il Vaticano II ha esaltato la molteplicità delle tradizioni religiose e liturgiche e non ha esitato ad assumere alcuni gesti liturgici e consuetudini di provenienza orientale che connotano maggiormente l’universalità della Chiesa. Ricordiamo la comunione sotto le specie del pane e del vino, l’adozione della lingua locale nella liturgia, l’apertura sinodale. Seguendo le linee tracciate dal Concilio, le Chiese orientali, in accordo con quelle ortodosse, dovrebbero impegnarsi nel diffondere e tutelare la tradizione apostolica. Nei primi quattro secoli di diffusione del cristianesimo, Antiochia era il faro della fede cristiana nel mondo, ancor più di Roma e di Costantinopoli. Le liturgie di San Basilio e di San Giovanni Crisostomo, che ci sono giunte attraverso il Patriarcato di Costantinopoli, sono di origine antiochena. Il riscoprire la fede delle nostre origini è una responsabilità che dobbiamo assumerci nei confronti dei nostri padri e delle generazioni future.

6. Oriente e Occidente verso il Terzo Millennio
La preparazione alla celebrazione del terzo millennio, è il momento più propizio per sfruttare le grandi ricchezze culturali presenti. Le moderne tecnologie che hanno annullato le barriere tra le nazioni e incrementato i collegamenti tra i popoli, dovrebbero essere utilizzate per eliminare le barriere culturali. E’ un cambiamento che deve essere realizzato insieme tra il Nord e il Sud del mondo, tra Oriente ed Occidente. Ma non deve esserci spazio per chi vuole manipolare la realtà. Gli europei, per loro stessa ammissione, conoscono solo in modo superficiale la cultura mediorientale. Quasi tutti ignorano poi le difficoltà che un giovane proveniente da questi paesi si trova ad affrontare nell’impatto con la cultura e la mentalità occidentale. La sfida che attende oggi i cristiani orientali è questa: colmare il fossato che separa il mondo islamico da quello occidentale, a partire dalla riscoperta dei valori cristiani dell’Oriente. Il ritorno alle fonti della fede rappresenta davvero una via di rinnovamento. Occorre sapere inserire, con mente illuminata, le verità immutabili nel contesto in evoluzione del mondo in cui viviamo. Questa doppia pista tra passato e futuro è un elemento in grado di fornire alla società un grande dinamismo culturale.

Giuseppe Samir Eid

Samir Eid Raccolte

Intendono fornire gli strumenti per una inclusione sociale del flusso migratorio, gettare una luce sui diritti umani e la condizione di vita dei cristiani nel mondo islamico da cui proviene l’autore.La conoscenza dell’altro, delle diversità culturali e religiose sono ingredienti primari per creare la pace nei cuori degli uomini ovunque, premessa per una serena convivenza e convinta cittadinanza sul territorio.

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