011 - LIBERTA' RELIGIOSA E DIRITTI DELL'UOMO NELL'ISLAM

Ed. La Scuola – 12-1996

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1. Libertà Religiosa
Il concetto di libertà religiosa, a differenza di quello di tolleranza, implica uguaglianza di diritti per ciascun cittadino.” Ogni trattamento discriminatorio motivato dalle diverse convinzioni religiose, viola i diritti umani. La posizione del cittadino di fronte alla legge non deve essere privilegiata dall’appartenenza ad una specifica confessione religiosa”.(7)

Il riconoscimento dei diritti dell’uomo è acquisizione recente nella Chiesa Cattolica . I rilievi espressi a questo proposito da papa Pio IX sono culminati nel documento Syllabus Errorum del secolo scorso. Ma si é dovuto aspettare il Vaticano II per una formulazione universale sull’argomento.

Da parte islamica, come vedremo più avanti, la religione predomina ancora sui diritti dei cittadini, anche se qualche debole voce si leva per una separazione tra fede e diritto. I documenti islamici che contengono dichiarazioni di uguaglianza e di libertà pongono pesanti limiti e discriminazioni per chi non è musulmano. Va tenuto presente ancora che il mondo islamico non è affatto monolitico; anzi, ha al suo interno una grande varietà di posizioni: dalla minoranza fondamentalista (Salafeya) a quella che reclama più libertà e maggiore accoglienza del mondo moderno. Nel mezzo c’è un vasto spectrum di musulmani “ortodossi”. Di conseguenza, l’applicazione da parte dei tribunali delle enunciazioni contenute nelle costituzioni e nei trattati internazionali sottoscritti dai rispettivi governi é tutt’altro che uniforme.

2. Attualità europea
I problemi relativi alla libertà religiosa in Europa sono portati alla ribalta dall’arrivo degli immigrati musulmani: alla loro soluzione non possono rimanere estranei i paesi di origine. Lo studio di una legislazione che garantisca gli immigrati in Europa va accompagnata da misure in favore dei diritti umani anche nelle nazioni di provenienza, dove la discriminazione religiosa è una realtà. Ad esempio: la donna è normalmente in posizione d’inferiorità di fronte alla legge ,soprattutto nel diritto matrimoniale; la scelta di una diversa appartenenza religiosa comporta pene detentive e la perdita dei diritti civili; la preclusione da alcune cariche pubbliche e dall’insegnamento di alcune materie. Anche solo la normale manutenzione agli edifici di culto non islamici comporta una serie infinita di problemi. E’ giusto tutelare i diritti degli immigrati con una legislazione adeguata, pretendendo perché che si uniformino alle leggi del Paese ospitante. Va sollecitata anche la reciprocità da parte dei rispettivi governi, in modo che garantiscano diritti umani e liberta religiosa per tutti.

Una pacifica convivenza chiede che i responsabili di ciascun paese abbandonino demagogia e rivalse per definire una politica che garantisca pari opportunità a tutti i cittadini . In questo modo si potrebbero diffondere i valori della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti umani in culture tradizionalmente distanti dall’attenzione alla persona come soggetto di diritto. Operativamente, convenzioni e trattati bilaterali possono contribuire a stabilire la pari dignità e opportunità tra cittadini di diversi paesi, cancellando discriminazioni tra minoranza e maggioranza.

3. Sharia e diritti umani
Per i musulmani la legge, Shari’a, rappresenta “la totalità degli ordinamenti estratti dal Corano e dalla Sunna e da ogni altra legge dedotta da queste due fonti mediante metodi ritenuti validi nella giurisprudenza islamica. La Sunna o hadith, è la raccolta di ciò che Muhammad ha detto , fatto o accettato; il suo esempio di vita”.(1)

Agli occhi dei musulmani, l’islam è la religione perfetta, la sola vera, incarnata in una comunità (umma) (8) con il suo capo, la sua fede e le sue leggi. Il tutto é reso sacro dalla rivelazione coranica. I primi secoli dell’islam restano un modello di ordinamento statale a cui guardano con nostalgia i musulmani fondamentalisti. La religione è considerata inseparabile dal sistema di organizzazione statale. Non c’é separazione tra sfera spirituale e sfera temporale.

La shari’a è dunque il prodotto della comprensione umana delle fonti dell’islam nel contesto storico compreso tra il VII e il IX secolo d.C. In questo lasso di tempo i giuristi musulmani interpretarono il Corano e le altre fonti con lo scopo di stabilire una legislazione generale che potesse servire in ogni angolo del vasto impero sottoposto all’Islam. Lo sforzo di interpretazione (ightihad) venne interrotto, e lo è tuttora, per paura di abusi. Il volere di Dio e di Muhammad diventavano spesso uno strumento per mantenere il controllo sull’impero. L’applicazione della shari’a oggi si rifà ancora, in molti paesi, ai canoni codificati dalla giurisprudenza islamica di dieci secoli fa e applicati dalle quattro scuole giuridiche.

Va detto che nei primi secoli dell’islam la shari’a poteva essere considerata un miglioramento per quelle minoranze che erano state sottratte alla dominazione di Bisanzio e della Persia, dove la discriminazione religiosa era forte.

L’avvento dell’Islam ha migliorato le condizioni di vita della donna che subiva, prima del VII secolo, condizioni di grave subordinazione. Col passare dei secoli, perché, il suo ruolo è stato ridimensionato.

La donna si trova svantaggiata rispetto all’uomo di fronte alla legge specialmente per quanto riguarda il diritto matrimoniale e le norme di successione. E’ vero comunque che la poligamia, ammessa dalla shari’a, sta entrando in disuso per la crescente difficoltà di mantenere quattro mogli. Alcuni stati, come la Tunisia, hanno introdotto leggi che la vietano. Il diritto unilaterale di ripudio da parte dell’uomo è limitato dalle recenti legislazioni, anche se non completamente cancellato. Il fondamentalismo islamico, là dove è diffuso, compresa l’Europa, impone a volte che la donna si copra il volto come segno di sottomissione . Nonostante il Corano non lo richieda in modo specifico , il velo è stato in qualche caso elevato a simbolo visibile di una vera società islamica. (4).

Secondo quanto riportato dal settimanale del Gruppo Editoriale Al- Ahram del 1 dicembre 1994 pp. 16, la corte costituzionale egiziana ha negato il diritto ad una donna di ottenere il divorzio nel caso che il marito prenda un’altra moglie. La sentenza precisa che il fatto non reca danno per la prima moglie e non costituisce un causa valida per il divorzio. D’altro canto, la dottoressa Zenaib Radwan, docente di filosofia islamica presso l’Università del Cairo, sostiene che la poligamia è accettabile alla luce della legge coranica, ma non altrettanto il rifiuto di concedere il divorzio alla donna. Sostiene che la shari’a è una linea guida e il Corano e i hadith non vanno presi alla lettera, ma interpretati tenendo conto delle evoluzioni storiche. Dalla pretesa di considerare la legge coranica come un corpus immutabile nascerebbero, secondo la docente, degenerazioni che non sono in sintonia con lo spirito originario della shari’a, anzi farebbero perdere le virtù e i valori spirituali del messaggio coranico.

Su pressione dei gruppi femministi, in Egitto è stata avanzata in Parlamento nel 1995 una proposta di legge che prevede la possibilità di stipulare un contratto tra i futuri coniugi con il quale, per iscritto, il marito si impegna a garantire alla donna il diritto al lavoro, all’istruzione, agli spostamenti e ai viaggi, al divorzio incondizionato, oltre a tutti i diritti che potrà esercitare senza che sia necessario il consenso del marito. La proposta di legge è stata formulata dalla Conferenza Nazionale per le donne tenuta nel giugno 1994 sotto la presidenza nientemeno di Susanna Mubarak, moglie del Presidente egiziano.

La shar’ia ha forgiato la mentalità e la condotta dei popoli islamici, in relazione alla questione dei diritti umani e della libertà religiosa. Un esempio è quello degli abusi compiuti sulle donne in nome della legge divina secondo la quale si giustificherebbe l’usanza antichissima e crudele dell’escissione dei genitali femminili non appena si raggiunge la pubertà. (2)

I giuristi musulmani sono discordi nell’attribuire questa pratica ad un dovere religioso o piuttosto ad un’antica tradizione incorporata nei precetti della shari’a. In occasione della Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo
(settembre 1994), Gad El-Haq Ali Gad El-Haq, rettore della prestigiosa università islamica Al Azhar del Cairo, si dice favorevole all’escissione che farebbe “onore alle donne che la praticano”, e cita alcuni detti di Muhammad ed il pensiero di un teologo medioevale che sosteneva che “i musulmani debbono prendere le armi contro le nazioni che abbandonano questa pratica”. Gli risponde Sayed Tantawi, Gran Mufti (capo supremo religioso) d’Egitto, che nega ogni riferimento a Muhammad, lasciando ogni decisione in merito ai medici. In Egitto si contano circa mille interventi di questo tipo al giorno.(3)

Poiché l’islam non riconosce una suprema autorità religiosa, l’applicazione della legge religiosa risente di interpretazioni spesso in contraddizione tra loro, e risulta difficile affermare in modo categorico quale sia l’applicazione corretta dei dettami dell’Islam.

Possiamo dunque ribadire che all’interno dell’Islam non esiste una voce univoca e un capo supremo che legiferi in nome di tutti. Di qui la difficoltà a trovare un interlocutore che rappresenti i musulmani. Quella di un’autorità centrale é un’esigenza molto sentita nel mondo musulmano, tanto che se ne è discusso anche nella riunione dei capi di stato dei paesi islamici che si é tenuta a Casablanca (Marocco) nel dicembre 1994. In questa occasione si è discusso anche della posizione dell’islam di fronte alle sfide della modernità.

Uno dei problemi di fronte ai quali si trovano gli uomini chiamati ad applicare la shari’a in nome di Dio è come poter conoscere la sua volontà, esponendosi ad accuse di eresia da parte dei fondamentalisti, che affermano che essi non si uniformano alla volontà divina, con tutte le conseguenze legali che ne derivano.

Citiamo, al riguardo, un intervento di Hussein Kouatly, direttore di Dar al-Fetwa, la massima istituzione religiosa islamica in Libano: “I cittadini musulmani hanno il dovere di appoggiare l’autorità islamica; nel caso questa non applichi la legge islamica, debbono adoperarsi per abolirla e dichiarare la guerra santa (Jihad) sino alla presa del potere. Nel caso fossero in situazione di minoranza, i musulmani possono accettare formule di compromesso continuando a lavorare con tutti i mezzi per ottenere il potere al momento opportuno”. ( Le Reveil, 18.7.1978 ).

Nonostante diverse voci si levino con insistenza a reclamare una più moderna applicazione della legge coranica, le punizioni corporali sono tuttora praticate in Sudan, Arabia, Iran e Pakistan. Esse prevedono, tra l’altro, il taglio della mano, la fustigazione pubblica, la lapidazione e l’impiccagione. I trattamenti discriminatori verso i dhimmi (ciò i non musulmani appartenenti alle religioni del libro) hanno il loro fondamento nella shari’a, ma la loro attuazione dipende dal tempo e dal luogo.

4. Non musulmani: un mondo a parte
La libertà religiosa dei non musulmani è uno dei nodi più delicati del diritto islamico. Secondo la dottrina tradizionale, i non musulmani devono osservare precise condizioni per potere convivere all’interno del Dar el Islam, cioè il mondo islamico.

Il concetto di tolleranza nell’Islam delle origini era molto simile a quello cristiano dello stesso periodo. Non avendo subito il diritto islamico nessun tipo di evoluzione, anche il concetto di tolleranza religiosa all’interno dell’ordinamento musulmano è fermo a secoli fa.

Ebrei, cristiani e zoroastriani, i cosiddetti” popoli del libro”, erano considerati “protetti” e come tali godevano di una certa autonomia all’interno di un ordinamento legislativo che discriminava pesantemente i non musulmani. I principali vincoli riguardavano l’abbigliamento, il versamento di tasse speciali per garantirsi dalla confisca dei beni e per assicurarsi la permanenza sulla terra, l’accesso agli incarichi pubblici, la testimonianza in giudizio contro un musulmano, l’interdizione al servizio militare, la regolamentazione del culto religioso (che doveva essere discreto), il divieto di edificazione di templi e chiese, la proibizione di esporre in pubblico croci o altri segni di culto. (5)

Sono dunque molti gli anacronismi in cui cade la legislazione islamica. Per esempio, quando all’interno di una coppia che ha contratto matrimonio cristiano uno dei due coniugi si converte all’Islam, i figli minorenni diventano automaticamente musulmani, in quanto la shari’a affida l’educazione dei figli alla religione ritenuta perfetta.

5. Diritto internazionale e Shari’a
Da un confronto tra la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948) e la shari’a possiamo trarre ulteriori elementi di riflessione circa la libertà religiosa e i diritti umani nell’islam. (6)

Recita l’articolo 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Il diritto islamico stabilisce una differenza categorica tra le prerogative dei musulmani e quelle dei dhimmi , considerati cittadini di serie inferiore. Lo spirito di fratellanza richiamato dalla Dichiarazione Universale nel mondo islamico vale solo per i musulmani, e non è estensibile ai non musulmani.

“Ad ogni individuo – afferma l’articolo 2 – spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, d origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.
Per la shari’a l’unico detentore di questi diritti è il musulmano di sesso maschile. La donna è in una posizione subordinata.

Gli articoli 4 e 5 riguardano la schiavitù e la tortura (“Nessun individuo può essere sottoposto a tortura o a trattamento o punizione crudeli, inumani o degradanti”, art. 5).
Come si può conciliare questa enunciazione con le pratiche dell’amputazione, della lapidazione e della fustigazione largamente in vigore nei paesi islamici di stretta osservanza (Pakistan, Arabia saudita, Iran, Sudan) ?.

Gli articoli 6 e 7 riconoscono ad ogni uomo l’uguaglianza di fronte alla legge e il sacrosanto diritto di equa tutela. “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”, sostiene l’articolo 6. Ed il 7: “Tutti sono uguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. (…)”.
Anche a questo proposito le differenze con il diritto islamico sono sostanziali, basti pensare alle differenze tra musulmani e non musulmani, al diritto di famiglia, ai diritti della persona, al valore della testimonianza in giudizio.

A proposito del diritto matrimoniale, prendiamo l’articolo 16: “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno uguali diritti e doveri riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. (…)”.
Nell’I slam non è consentito ad una donna musulmana di sposare un uomo di religione diversa, a meno che questi non si converta. Nei matrimoni misti, quando il coniuge maschio è musulmano, i figli diventano automaticamente musulmani, senza possibilità di scelta. L’iscrizione nei registri dello stato è automatica e senza possibilità di revoca. L’uomo ha la possibilità di ripudiare la donna, la quale per il diritto vale “la metà”: la sua testimonianza in tribunale non ha lo stesso valore di quella dell’uomo (non può deporre in cause penali di una certa delicatezza); nelle norme di successione alla donna spetta una quota di eredità dimezzata rispetto a quella dell’uomo. Secondo la shari’a nessuna donna può ricoprire un incarico pubblico che preveda autorità sugli uomini. Un uomo può avere fino a quattro mogli ed ottenere con facilità il ripudio; la donna può avere un solo marito alla volta e difficilmente ottenere il divorzio.

In flagrante contraddizione con l’articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, gran parte delle costituzioni dei paesi islamici, con eccezione di Turchia e Tunisia, vietano ad un cristiano o ad un ebreo di sposare una donna musulmana. E’ inoltre proibito per una donna sposare un cittadino appartenente ad una religione non riconosciuta legalmente. La conversione dall’Islam ad un’altra religione n non è possibile ed è ma è perseguibile penalmente come crimine contro la società. Le conseguenze vanno dall’annullamento del matrimonio già contratto, alla privazione della custodia dei figli, all’interdizione ad ereditare, alla” morte civile”. In Iran, Arabia Saudita e Sudan si rischia la pena capitale, come é toccato all’intellettuale sudanese Mahmoud Mohamed Taha il 18 gennaio 1985 e a Hossein Soodmand in Iran il 13 dicembre 1990.

Nell’articolo 18 vengono prese in esame la libertà di pensiero, coscienza e religione: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o fede, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, in pubblico e in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”.
Per un musulmano, passare ad un’altra religione significa la” morte civile” ed in qualche caso addirittura l’impiccagione. Il convertito perde i figli, la famigli, i beni. Ed inoltre espone la comunità religiosa che lo accoglie a ritorsioni. In pratica è costretto ad emigrare e a prendere la cittadinanza di un paese non ancora toccato dal jihad che mira ad estendere la legge islamica in tutto il mondo. Anche la libertà d’espressione è fortemente limitata.

Un progetto di legge in Egitto prevedeva la pena di morte per l’apostato, è stato bloccato in extremis dal presidente Sadat. Il sig. Ali Mahgoub, Presidente della commissione parlamentare per gli affari religiosi nel 1994, chiede i lavori forzati a vita per la più grande offesa contro l’islam, l’apostasia.

A proposito della partecipazione al governo della cosa pubblica, l’articolo 21 della Dichiarazione Universale afferma, al punto 1: “Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente che attraverso rappresentanti liberamente scelti”. E al comma successivo: “Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di uguaglianza alle cariche pubbliche del proprio paese”. Ed ancora: “La volontà del popolo è il fondamento del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e vere elezioni, effettuate con suffragio universale ed uguale, con voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione”.

6. I diritti della persona secondo le istituzioni islamiche
Autorevoli organismi islamici hanno tentato di emanare proprie dichiarazioni universali in materia di diritti umani e libertà religiosa. Malgrado ciò, i musulmani nel loro insieme nel mondo non si sentono obbligati da questi Documenti, per mancanza di una autorità unica. Va detto perché che sono comunque un passo avanti, perché tentano di armonizzare shari’a con la concezione moderna dei diritti umani.(11)

Un gruppo di giuristi e dotti musulmani ha redatto un documento, intitolato “Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo”, emanato dal Consiglio Islamico d’Europa e proclamato solennemente a Parigi presso la sede dell’UNESCO il 19 settembre 1981. Contiene 23 articoli sui diritti e le libertà fondamentali alla luce della dottrina coranica e della tradizione giuridica musulmana. Questo testo, espressione di una visione aperta dell’Islam, oltre a recepire i principi della Dichiarazione Universale promulgata dalle Nazioni Unite, richiama le speciali responsabilità dei credenti riguardo la libertà e la giustizia ed in materia di libertà religiosa.

Tutte le affermazioni giuridiche hanno per come fondamento la shari’a e vanno interpretate alla luce degli ordinamenti islamici. Vi si dichiara specificamente che governanti e governati sono sottoposti alla legge coranica e sono uguali davanti ad essa; ogni potere terreno va esercitato nei suoi limiti e deve tendere ad affermare l’Islam ovunque. Nonostante la limitatezza del concetto di uguaglianza e libertà religiosa, si tratta comunque di un passo avanti in materia di diritti umani all’interno del mondo islamico.

Nel 1990, al Cairo, é stata promulgata dall’Organizzazione della Conferenza Islamica una “Dichiarazione sui diritti umani nell’islam” dove perché si nega specificamente la possibilità di un individuo di passare dalla religione musulmana ad un’altra confessione. La Dichiarazione del Cairo affida allo stato la custodia della religione, negando all’individuo la libertà di coscienza.

7. Ordinamenti di costituzioni islamiche
La diversità degli ordinamenti costituzionali non ci consente di trarre delle conclusioni unanimi per tutti gli Stati; si può comunque affermare che il concetto di tolleranza, con restrizioni e discriminazioni verso i non musulmani, permane nelle costituzioni di vari stati islamici. La maggior parte de gli ordinamenti costituzionali prevede l’uguaglianza fra i cittadini e le libertà religiosa, fermo restando il fatto che la shari’a rimane la fonte ispiratrice della legge; la posizione di capo dello stato, in questa logica, è riservata ad un musulmano; le minoranze riconosciute godono di una rappresentanza in parlamento.

La costituzione della Repubblica dell’Iran, per esempio, proclama l’Islam sciita religione di Stato. L’articolo 13 garantisce certe autonomie a specifiche minoranze: ebrei, cristiani e zoroastriani. Sono escluse da questi privilegi le religioni che non sono riconosciute legalmente. La shari’a è comunque il principio ispiratore della legge dello stato e le discriminazioni a danno dei dhimmi permangono tutt’ora.

In seno al Consiglio Islamico d’Europa, nel 1983, è stato elaborato un Modello di Costituzione Islamica che riprende i capisaldi della legge coranica, ribadendo la guerra santa come strumento di difesa dell’ordinamento islamico e di affermazione della vera religione nei territori non ancora conquistati.

8. Tentativi di evoluzione
Varie voci si sono levate ultimamente per cercare di interpretare le leggi coraniche alla luce del diritto moderno. Citiamo ad esempio Roger Garaudy, un francese convertito all’Islam, il sudanese Abdullah Ahmed El Naim, il defunto Ministro dell’ Istruzione egiziano Taha Hussein, Naguib Mahfouz, premio Nobel. Insieme a loro tanti altri esponenti di prestigio della cultura musulmana propongono revisioni e cambiamenti.

Questi intellettuali propongono di leggere il Corano con gli occhi del Ventesimo secolo, depurandolo dal letteralismo propugnato dai fondamentalisti. Sostengono che la sharia conterrebbe una vera inflazione di hadith, cioè di norme derivate da presunti detti di Muhammad. Secondo loro sarebbero state introdotte dai primi califfi per dare forma di sacralità al proprio governo. Secondo loro, le violazioni dei diritti umani nell’islam contemporaneo non deriverebbero dal messaggio religioso in sé, quanto da una serie di perversioni e contaminazioni entrate nel corpus giuridico attraverso tradizioni particolari sviluppatesi nel Vicino Oriente e in Arabia.

Gli atteggiamenti da rivedere, secondo loro, sono sostanzialmente questi:

1) la chiusura sul passato, con l’irrigidimento nell’interpretazione del Corano e la proibizione di una nuova esegesi che, pur non travisando i principi, possa essere più aderente ai tempi;

2) l’atteggiamento discriminatorio verso le altre religioni per il solo fatto di considerare l’islam l’unica e la vera religione, ignorando il loro messaggio e negando che ci siano altre vie che portano a Dio;

3) il legalismo che priva l’islam della sua dimensione di interiorità e di amore, ed ha provocato l’ostracismo e la persecuzione del sufismo da parte delle comunità sunnite;

4) l’impossibilità di espressione religiosa nei paesi islamici, dove chi esprime pubblicamente opinioni in contrasto con quella musulmana rischia pene severe, quando non il linciaggio;

5) la critica all’occidente per l’asilo offerto ai musulmani estremisti oggetto di repressione nel loro paese.

Vi è poi il nodo della comunicazione e della libera circolazione delle idee, in modo che ogni uomo posa maturare delle opinioni sue proprie.

Secondo questi musulmani modernisti è possibile rivedere la sharia in modo che risponda ai bisogni del mondo contemporaneo senza perdere l’originalità del messaggio religioso dell’islam. L’errore dei fondamentalisti sta nel volere applicare oggi norme e concetti vecchi di mille anni, nati in circostanze storiche completamente diverse.

Per quanto riguarda i diritti del uomo restano molti passi da fare, come quello della possibilità di scegliere liberamente la sua religione anche con l’abbandono dell’islam senza incorre in ricatti e rischi di venire trucidati, la possibilità per una donna musulmana di sposare un uomo di altra religione, la possibilità di accedere alle più alte funzioni pubbliche a prescindere della religione di appartenenza. Resta auspicabile uno sforzo di comunicazione e di libera informazione e di dibattiti televisivi e altri media per creare una libera circolazione di idee, e che ogni uomo possa maturare liberamente le sue scelte fondamentali di vita.

Sempre secondo i modernisti , è necessario dare vita ad una shari’a islamica che risponda ai bisogni del mondo contemporaneo pur senza discutere i capi saldi della fede e dei valori umani che ogni religione cerca di valorizzare. L’errore delle correnti fondamentaliste e dei difensori del ritorno all’antico (salafiyin) è nel ‘insistere voler applicare al mondo d’oggi sistemi e concetti codificati nel X secolo. Secondo Abdullahi Ahmed An-Naim, professore di giurisprudenza all’università di Khartum, (Sudan) “I primi musulmani hanno interpretato le fonti divine alla luce del contesto storico in cui vivevano al fine di creare un sistema coerente e praticabile, che conseguì miglioramenti significativi sul piano dei diritti umani nei confronti dei sistemi precedenti e contemporanei. E’ diritto e responsabilità dei musulmani oggi fare la stessa cosa, per dare vita a una shari’a islamica moderna, destinata al contesto attuale radicalmente mutato. Se non lo facessero, tradirebbero in maniera radicale la loro fede, frustrando totalmente il fine divino. Nel loro contesto storico essa rappresentava un miglioramento rispetto ai sistemi vigenti a quell’epoca”(12).

Il premio Nobel egiziano Naguib Mahfouz, insieme ad altri cento intellettuali e politici, ha dato vita nell’agosto 1992 ad un’associazione per consolidare l’unità nazionale in seguito alla violenza religiosa che si è scatenata contro i copti. Il presidente fondatore è Ibrahim Nafie, Presidente del Gruppo Editoriale Al-Ahram. L’obiettivo principale che l’associazione si prefigge è quello di combattere il fondamentalismo religioso e di favorire l’uguaglianza tra tutti i cittadini, sia musulmani sia cristiani. Secondo il portavoce dell’associazione, la violenza religiosa è iniziata in Egitto quando Nasser è ricorso all’Islam per consolidare il suo potere nel paese e nel mondo arabo. I gruppi fondamentalisti hanno poi usato la religione per impadronirsi del potere politico, che rappresenta il loro vero obiettivo.

Un illustre professore d’islamistica, Ahmed Kamal Abul-Magd, ex-ministro egiziano dell’Informazione , ha invitato i teologi islamici a ripensare lo spirito del messaggio coranico alla luce delle sfide del mondo contemporaneo, correggendo l’immagine distorta che i musulmani danno oggi della loro religione. Questo problema è talmente sentito dalle massime autorità civili che al quindicesimo summit dei sei paesi del Golfo (Gulf Cooperation Council) tenutosi nel Bahrein nel dicembre 1994, è stata approvata la proposta dell’ Oman di “abbandonare l’estremismo e il fanatismo religioso che distorcono l’immagine di tolleranza della shari’a la quale promuove la non-violenza e la convivenza con tutte le religioni”.

9. Verso quale futuro?
Quali saranno le norme che garantiranno domani musulmani e non musulmani che vivono nei territori islamici?

Sarà possibile per un non musulmano essere pienamente cittadino in uno stato in cui l’islam è religione ufficiale?
Come regolare i rapporti tra stato islamico e comunità internazionale, modellata sui principi pluralisti?
La shari’a è attualmente il criterio ispiratore delle carte costituzionali dei paesi islamici. Potranno mai i musulmani concepire un ordinamento statale democratico che garantisca la libertà di religione e di culto per tutti i cittadini, uguali davanti alla legge, indipendentemente dalla religione o dalla ideologia?

Alcuni ricercatori musulmani sono propensi ad affermare che la fede islamica non solo è riconciliabile ai diritti umani ma può contribuire alla loro promozione con la riscoperta del significato originale della shari’a di guida etica e non considerarla una rigida codifica di norme legali. (9)

Sono questi alcuni interrogativi a cui bisogna rispondere. Ecco perché per le religioni monoteiste è giunto il tempo di trovare insieme il modo di tradurre in pratica le norme etiche comunemente riconosciute. La libertà religiosa di pensiero e di espressione è la pietra miliare dell’intera struttura dei diritti umani, come ha affermato Giovanni Paolo II. Le restrizioni che i cattolici subiscono in molti paesi a maggioranza musulmana vanno denunciate e condannate. Ricevendo in udienza i vescovi pakistani in visita a Limina, il papa ha rivendicato il diritto alla libertà di culto per i credenti di tutte le fedi.

Giuseppe Samir Eid

(Intendono fornire gli strumenti per una inclusione sociale del flusso migratorio, gettare una luce sui diritti umani e la condizione di vita dei cristiani nel mondo islamico da cui proviene l’autore.La conoscenza dell’altro, delle diversità culturali e religiose sono ingredienti primari per creare la pace nei cuori degli uomini ovunque, premessa per una serena convivenza e convinta cittadinanza sul territorio.)

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