004 - LA CONDIZIONE DELLE COMUNITÀ’ CRISTIANE IN MEDIO ORIENTE

Popoli – 01/1994

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L’esistenza dei cristiani nei paesi arabi a maggioranza musulmana si fa sempre più difficile, fra processo d’islamizzazione forzata ed emigrazione in Occidente. Occorre attirare l’attenzione dell’Occidente su queste due tematiche: la presenza e la convivenza cristiana e musulmana dal punto di vista della minoranza cristiana nei paesi islamici; la presenza islamica in Europa dal punto di vista di un cristiano mediorientale.
Le due tematiche a prima vista possono sembrare complementari, in fatti, al secondo punto, si affronterà la situazione dei musulmani immigrati in Italia, paese di orientamento cri- stiano, mentre nel primo punto si presenterà la realtà dei cristiani nel Medio Oriente che è a maggioranza musulmana.
Trattando di questi argomenti è fondamentale tenere presente due elementi discordanti, assolutamente non complementari: il primo è che la presenza musulmana in Italia è molto recente, infatti risale a pochi decenni; la seconda è che la presenza dei cristiani nei paesi mediorientali risale alla nascita del cristianesimo, ed oltre ad essere antichissima, è avvenuta prima dell’arrivo dei musulmani. Gli autoctoni del Medioriente sono i cristiani; solo intorno al 638-641 i musulmani vi sono immigrati e stanziati grazie all’accoglienza dei cristiani.


L’assimilazione di questa dimensione storica, permette di capire alcune situazioni mediorientali altrimenti incomprensibili dal punto di vista europeo. Finché non si capisce l’importanza della dimensione storica per l’identità dei popoli mediorientali, non si capirà niente del Medioriente.
Subito dopo la seconda guerra mondiale la popolazione sulla sponda Nord del bacino mediterraneo era di circa il doppio di quella del bacino Sud, Nord Africa e Medio Oriente; oggi dopo 50 anni, la proporzione è diventata di 1 a 1. Lo sviluppo demo grafico accompagnato da un divario crescente in termini di sviluppo, espone la popolazione più ricca e più anziana ad un’invasione “pacifica” da parte di popoli molto lontani culturalmente; un professore dell’università del Cairo ha quantificato il divario in secoli.

Arabi o musulmani?
Il nostro discorso sulle vicende del le comunità arabo cristiane non può non prendere le mosse dall’esame di una prima questione di importanza fondamentale: che cosa si vuole indi care quando si utilizza il termine arabo? Questa premessa è resa necessaria soprattutto dal fatto che in Occidente si tende a utilizzare indifferentemente i termini arabo e musulmano, presupponendo così una coincidenza tra i significati delle due espressioni. Le cose non stanno in questa maniera. La parola arabo si riferisce, in modo convenzionale, ad un’area geografica e culturale anziché ad una specifica confessione religiosa o ad una etnia determinata. Si definisce infatti popolazione araba quella presente in un’area territoriale ben definita, costituita da tre zone di stinte: l’Africa del Nord, il Medio Oriente e la regione della penisola arabica (comprendendo anche il Golfo Arabo). Coincide con l’organizzazione politica denominata Lega Araba. Non so no invece compresi in questi territori né la Turchia né l’Iran. Tutte queste zone geografiche sono accomunate dall’uso della stessa lingua: l’arabo. Ciò non significa però che l’estrazione delle popolazioni sia la stessa: ci troviamo infatti di fronte ad un universo molto variegato. Fa eccezione a questo proposito il Sudan, che non può essere considerato a rigore un paese arabo. Questa situazione di omogeneità linguistica e culturale trova certamente la sua origine nell’avvento e nello sviluppo dell’islam. E’ stato infatti il diffondersi del Corano a portare queste popolazioni a parlare la stessa lingua araba. Non va però dimenticato che una tradizione culturale araba era già presente in queste zone molto prima di questi eventi. Già nel III secolo a.C. si ha notizia di regni arabi a Tripoli (nell’attuale Libano), a Petra, in Giordania, presso i Nabatei. In questo stesso periodo viene inoltre segnalata la presenza di tribù arabe (Manadhira e Ghassanidi) in Siria. Sono stati i cristiani e gli ebrei che risiedevano in queste regioni a far sì che questo patrimonio culturale originario si sviluppasse e rimanesse in vita anche dopo la penetrazione dell’islam. Le origini della stirpe e della cultura araba vanno ricercate nel contesto storico-geografico della Mesopotamia intorno al 1700 a.C. E’ qui che si svolge la vicenda di Abramo, il Patriarca che accomuna nel riferimento sia ebrei che arabi. Le statistiche più recenti stimano che i musulmani nel mondo siano circa ottocento milioni. Fra questi però soltanto il 15-20% sono di origine araba. Questo dato ci fa capire quanto sia grossolano l’atteggiamento di quegli occidentali che confondono fra loro i due termini di arabo e musulmano. Basti solo pensare, ad esempio, ai musulmani che vivono in Indonesia, India e Iran i quali non possono per nessuna ragione essere definiti come arabi. A ciò poi si deve aggiungere il fatto rilevante che circa il 10% degli arabi so no cristiani. Dobbiamo, quindi, ricorda re che la maggioranza dei musulmani non appartiene a popolazioni arabe.
Prima della conquista musulmana, iniziata nel VII secolo da Maometto e portata a termine dai suoi successori, il Medio Oriente era interamente cristiano con la presenza di due grandi culture: quella ellenistica e quella siriaca. A questo dualismo culturale presente in ambito cristiano si può attribuire l’origine e lo sviluppo di una vera e propria civiltà araba. Appare chiaro, pertanto, che la con fusione, creatasi in Occidente nei con fronti dei termini arabo e musulmano, rappresenti, per l’identità araba e specialmente per i cristiani (arabi), un grande impoverimento culturale. Ma qual è oggi, all’interno di questo universo culturale, la condizione in cui vivono i cristiani? Nel mondo arabo musulmano i concetti di cittadinanza, di patria e di nazione sono recenti, i termini stessi sono stati coniati alla fine del secolo scorso e sono ancora fonte di confusione. Si parla di nazione egiziana, siriana, libanese, irachena, ecc., ma si parla anche di nazione araba.

Chi si considera arabo oggi?
Non esiste una nazione araba, esiste una comunità araba, come c’è una comunità europea, ma non una nazione europea. Queste confusioni sono fonte delle guerre in Medio Oriente, perché se parliamo di nazione islamica, mischiamo un concetto politico a uno religioso. Penso che in questo caso sia importante introdurre il concetto di ambita. Il termine è stato coniato intorno al 1880, da Yazgi, un poeta libanese cristiano, con la frase “svegliatevi, o arabi”. La frase, come strategia tattica, chiamava tutti i paesi arabi ad unirsi contro l’Impero Ottomano. L’unione non poteva avvenire tramite l’islam, perché non tutti erano musulmani; far lo a livello di nazione, significava dividere tutti i paesi. L’ambita era ciò che univa tutti i paesi e persone sia cristiane che musulmane. Devo riconoscere che oggi i cristiani arabi spesso rifiutano di dirsi arabi. Il rifiuto è causato da una forte tendenza di questi ultimi vent’anni a identificare tutti gli arabi con l’islam. Ad esempio Gheddafi, il presidente della Libia, ha difficoltà a concepire che ci siano degli arabi non musulmani. Molti cristiani hanno pensato che se arabo significa musulmano, di conseguenza, non essendo loro musulmani, allora non sono neanche arabi. I cristiani arabi vivono in un mondo arabo che per il 90% è musulmano, quindi culturalmente sono musulmani, come un ateo francese o italiano è culturalmente cristiano. Non è possibile pensare alla cultura italiana o francese prescindendo dal cristianesimo, come non è possibile pensare alla cultura araba senza l’islam.

Flash sull’islam
L’islam è una religione fondata dal profeta Mohamed (o Maometto) nel VII secolo d.C. La legge islamica o sharia trae le sue fonti dal Corano, il libro rivelato da Maometto, e dal hadith, che narra la sua vita. L’insegnamento predominante e l’applicazione della sharia si rifanno ai concetti seguenti:

– l’islam è sia stato sia religione, contiene un progetto sociale immutabile; il Corano ha gettato le basi per reggere la società civile per tutti gli uomini in tutti i tempi e luoghi;
– tutti i musulmani fanno parte della stessa nazione: umma. Nonostante le frontiere, il concetto di nazione predo mina nella filosofia musulmana;
– fuori dell’islam non c’è salvezza; tutto l’universo deve diventare musulmano, anche se non tutti i fedeli sono unanimi sui mezzi da usare per il raggiungimento del fine;
– superiorità giuridica del musulmano e tolleranza verso le altre religioni monoteiste, la gente del libro, ossia ebrei e cristiani.

Da ciò si capisce chiaramente come il fattore religioso non possa essere trascurato, se vogliamo affrontare seria mente qualsiasi problema del Medio Oriente. Se andiamo infatti ad approfondire le cause di tutti i dissidi esistenti in questa regione, scopriamo che in un modo o nell’altro questi si ricollegano ad implicazioni di carattere religioso. La sharia è la legge; le sue fonti so no: il Corano, il libro rivelato: ì hadith. la vita narrata di Mohamed: igtihad. o lo sforzo, che consiste nell’emissione di una regola proclamata dai dottori della legge basata sul ragionamento per analogia su un fatto nuovo messo a confronto con uno precedente, già oggetto di regola esistente. I dottori della legge hanno smesso di promulgare regole dopo il IX secolo a seguito di abusi. Nel sistema giuridico religioso musulmano, gli ebrei e i cristiani hanno diritto di vivere in libertà e, in alcuni casi, a praticare il proprio religioso; non possono però avere incarichi che siano socialmente o eticamente rilevanti. Ad esempio è accettato un matrimonio tra un musulmano e una cristiana, perché essendo il musulmano privilegiato giuridicamente, automaticamente i figli saranno come il padre, ed eventualmente si cercherà di convertire anche la madre. Non è accettato invece il tra un cristiano e una musulmana per ché, in questo caso, si teme che la donna passi alla religione cristiana, perdendo quindi una fedele. Nell’islam non si è ancora verificato il passaggio dalla tolleranza discriminatrice al riconoscimento della libertà di coscienza e religiosa per tutti gli individui senza eccezione: non c’è stato l'”aggiornamento” per il riconoscimento effettivo del pluralismo religioso.
E’ impensabile per un musulmano, convinto di possedere la verità totale, abbandonare la sua fede religiosa e diventare cristiano. Le leggi degli stati islamici tra l’altro glielo proibiscono, pena la galera o trattamenti ancora più severi. Ci sono, tuttavia, dei convertiti, che a causa del loro entusiasmo. non possono tacere la loro fede. Vengono allora colpiti da gravi persecuzioni, tanto che sono costretti a lasciare il paese. Anche i cristiani che volessero aiutarli. sarebbero sospettati di fare del proselitismo incorrendo in pene severe. Per contro, la legge islamica non proibisce ai cristiani di convertirsi. Ci sono parecchi cristiani che passano per ragioni materiali e più spesso a causa del matrimonio. In questo caso un cristiano che vuole sposare una musulmana deve prima convertirsi all’islam. Naturalmente questa “conversione” non è accettata di buon grado e l’individuo cerca di ritornare cristiano. Una legge votata dal Parlamento egiziano sotto il presidente Anwar El Sadat condannava a morte il cristiano che, diventato musulmano, volesse ritornare cristiano. Il presidente Sadat impedì che questa legge diventasse esecutiva.

Integralismo islamico
Per fondamentalismo o integralismo s’intende il voler cambiare la società, ricostituire oggi una situazione esistente nei tempi passati dove si crede, a torto o a ragione, che la vita era vissuta a seconda dei veri valori dell’islam. Il risveglio dell’islam comincia a metà del XIX secolo ad opera di filosofi e pensatori pacifici, nonostante la colonizzazione, alla ricerca di un’identità perduta dopo il declino della società socio-politica del mondo musulmano. Con il passare del tempo questo risveglio prenderà un colore politico accentuato sino all’estremo. La religione diventerà il motore dei movimenti di liberazione e di conquista. Coincide con la nascita dell’islam arabo espansionista in Africa. Nel mondo musulmano i recenti movimenti di re-islamizzazione hanno in comune la rottura con la società predo minante e l’ambiente sociale. Si oppongono allo stesso modo a un islam di compromesso, il quale si sarebbe accomodato in una modernità trasmessa dalla secolarizzazione, che non è più musulmana. L’ integralista mira ad appropriarsi del potere e ad espandersi fuori dalle frontiere della nazione con lo spirito di conquista: una parte è ricorsa al terrorismo. L’Iran esporta questa concezione. La causa di maggiore difficoltà, per quel che riguarda la condizione dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana, è il fondamentalismo islamico. Questo fenomeno incarna in sé la tendenza preoccupante di un’appropriazione dello sviluppo tecnologico del mondo occidentale, separato però da quelle premesse culturali che ne hanno reso possibile il sorgere. Dietro a ciò è facile leggere la volontà di risolvere, nella linea della tradizione antica, tutti i problemi politici o sociali per mezzo della religione. Un processo che ostacola il riconoscimento di tutti quei diritti che nell’Occidente sono prerogative riconosciute alle minoranze. La povertà e l’ignoranza hanno favorito l’estensione dell’estremismo religioso. Con l’indipendenza i paesi arabi hanno favorito l’insegna mento gratuito e l’industrializzazione con il conseguente fenomeno dell’inurbamento. Le nuove leve, specialmente universitarie, sradicate dal loro contesto rurale, con una laurea e senza lavoro, sono deluse dalle promesse non mantenute da regimi cosiddetti socialisti del mondo musulmano. Gli integralisti islamici allora riempiono il vuoto ideologico e l’assenza di un tessuto di stabilizzazione sociale per le masse dei giovani o dei contadini che arrivano in città sull’onda dell’esplosione demografica e della laurea ad ogni costo. I militanti islamici vengono reclutati all’interno di questo universo studentesco e di giovani diplomati. I gruppi pietisti, dal canto loro, fanno adepti negli strati globalmente meno istruiti e attira no le classi di età più avanzata.
Il fondamentalismo ha presa sulle masse arabe islamiche perché queste non hanno nessuna conoscenza dei concetti basilari della religione cristiana. C’è chi addirittura sfrutta questa situazione per mettere in atto operazioni mistificatorie con l’obiettivo di denigrare i cristiani proponendo un falso Vangelo in arabo (cfr. lo pseudo Barnaba del XIV secolo) che viene poi fatto passare per vero, di fronte al popolo.
Tutto questo accade in paesi in cui ogni arabo cristiano studia il Corano, in quanto rappresenta una materia fonda mentale di ogni curriculum scolastico fino all’esame di maturità. A ciò si aggiunga il fatto che nella maggior parte dei paesi musulmani l’islamizzazione è portata avanti attraverso una propaganda a tappeto che non disdegna l’uso di tutti i moderni mezzi di comunicazione di massa. Alcuni esempi: ogni quotidiano ha una rubrica dedicata alla presentazione dei fondamenti dell’islam; le lezioni nelle scuole ed i programmi televisivi vengono interrotti in occasione dell’appello alla preghiera; un’emittente radiofonica è riservata alle trasmissioni di programmi sull’islam, senza che nessuno spazio venga riservato per le minoranze cristiane: inoltre la studentessa è messa sotto pressione psicologica per ché porti il velo.
Questa situazione raggiunge le sue punte estreme nella regione meridionale del Sudan: qui su un totale di 8 milioni di abitanti. 4.5 milioni di animisti ed 1,5 di cristiani sono costretti a vivere sottomessi alla sharia, la legge islamica che discrimina chiunque non sia musulmano (fu sospesa provvisoriamente nel 1991 dietro la pressione internazionale). Come si può ben vedere in casi come questo, la discriminazione giunge addirittura ad avere un fondamento giuridico. Ad esempio, l’essere cristiano diventa un ostacolo per chi voglia usufruire di un qualunque servizio pubblico.

E’ evidente come questo tipo di emarginazione sociale possa essere an che più insidioso della lotta armata.
In questo panorama l’unica eccezione nelle condizioni di vita dei cristiani era rappresentata dal Libano. In questo paese infatti il capo dello stato, che secondo la costituzione deve essere cristiano, si trova in una posizione di equilibrio di potere con i suoi pari musulmani nelle riunioni fra i capi di stato arabi. Ma nel dramma che oggi sta vi vendo il Libano tutto questo è ancora vero? Ed in futuro i cristiani potranno mantenere in questo paese i propri diritti? E’ difficile oggi dare delle risposte rassicuranti a queste domande.
Eppure Louis Massignon, il più grande islamista dei nostri tempi, fu colpito dalla grande mistica musulmana, rappresentata soprattutto da Ibn Mansùr al-Hallaj, il maestro soufi che fu crocifisso e poi arso vivo alla Porta dell’Arco a Bagdad nel 922. «Esiste un popolo – scriveva Louis Massignon – che nessuno veramente ama perché nessuno veramente conosce, e che nessuno veramente conosce perché nessuno veramente ama, e questo popolo è il popolo musulmano. Sento il dovere di dedicare tutta la mia vita per farlo conoscere e amare dai cristiani». Chiede va poi la recita dell’Angelus quando i musulmani, cinque volte al giorno, si richiamano alla preghiera. Louis Massignon era riuscito a far prendere coscienza ai suoi amici della missione di testimonianza dei cristiani orientali in terra d’islam. Questo movimento portò molti a scoprire il ruolo importante che potrebbe essere giocato nel dialogo interreligioso dagli arabi cristiani. I fedeli delle Chiese del Me dio Oriente potrebbero divenire un importante ponte fra l’Occidente e l’Oriente.

Giuseppe Samir Eid

(Intendono fornire gli strumenti per una inclusione sociale del flusso migratorio, gettare una luce sui diritti umani e la condizione di vita dei cristiani nel mondo islamico da cui proviene l’autore.La conoscenza dell’altro, delle diversità culturali e religiose sono ingredienti primari per creare la pace nei cuori degli uomini ovunque, premessa per una serena convivenza e convinta cittadinanza sul territorio.)

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