003 - E DEL LIBANO CHI SI RICORDA?

Popoli – 12/1993

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L’accordo tra Israele e i Palestinesi ha aperto nuove prospettive di pace in Medio Oriente, ma sembra ignorare il Libano che vive il suo dramma “protetto” dalla “pax siriana”. L’emigrazione degli arabo-cristiani rischia di compromettere l’equilibrio e la convivenza pacifica tra differenti gruppi religiosi che ha sempre caratterizzato il paese. Giuseppe Samir Eid è autore del volume “Arabi cristiani e arabi musulmani” (NED, Milano, 1991) e collaboratore del CADR, il Centro Ambrosiano di Documentazione per le Religioni di Milano.
Il Libano, “loubnan”, terra d’accoglienza, è da sempre il rifugio delle comunità perseguitate. I suoi monti, noti già nell’antichità per le pregiate foreste, si rivelarono un si curo rifugio per le minoranze etniche e religiose fin dagli anni immediatamente successivi alla conquista araba della Siria; nel XX secolo hanno accolto i rifugiati delle più diverse fedi religiose provenienti dalle regioni circostanti.

Terra di convivenza fraterna
Il Libano è una repubblica circondata da stati a regime totalitario con imponenti spese militari (basti pensare alla Siria, all’Iraq e Israele). E’ anche l’unico paese arabo dove vigono la libertà di espressione e di culto, senza discriminazioni di sorta per i cittadini. Viene indicato come un modello di convivenza fra cristiani, ebrei e musulmani per lo spirito d’accoglienza mostrato nei confronti di ogni persona.
Nel panorama del mondo arabo con leggi ispirate a quelle dell’islam, il Libano si trova in posizione diversa; infatti il capo dello stato secondo la costituzione deve essere cristiano e, al meno formalmente, si trova in posizione di equilibrio di potere con i suoi pari musulmani nelle riunioni fra i capi di stato arabi.
Il Libano è notoriamente considerato il primo paese dove qualsiasi persona può rifugiarsi in caso di discriminazione religiosa, politica o di altro genere. Circa 350.000 egiziani cristiani e musulmani, per esempio, sono emigrati dall’Egitto governato da Nasser e da altri stati limitrofi a regime dittatoriale, puntando sul Libano come rifugio o punto di riferimento. Si calcola che anche 300.000 palestinesi cacciati dalla Giordania e dal Nord di Israele, abbiano trovato rifugio in Libano; in maggioranza musulmani, hanno sconvolto l’equilibrio del paese che conta oggi circa 3 milioni di abitanti.
Il Libano è l’unica nazione araba con fiorenti comunità cristiane che un tempo erano maggioritarie nei confronti dei musulmani. Ma nel dramma che oggi sta vivendo, tutto questo è ancora vero? In futuro i cristiani vi potranno ancora mantenere i propri diritti? Quindici anni di guerra hanno cambiato la fisionomia del territorio.
Il Libano è stato per tutti un esempio di convivenza interreligiosa, fondata sulla fraternità e sull’approfondimento tra le varie confessioni religiose, fino al momento in cui potenze esterne hanno cominciato ad aizzare musulmani e cristiani fra di loro ed hanno permesso ad un numero troppo elevato di rifugiati di stanziarsi in questo piccolo territorio grande poco meno di metà Lombardia. Inoltre, l’insediamento di uno stato ebraico fortemente militarizzato ha rotto i fragili equilibri esistenti nel Medio Oriente.

Destabilizzazione internazionale
Questi fattori hanno provocato una prima guerra civile già nel 1958 e poi gradatamente, hanno preparato il terreno per la futura destabilizzazione, culminata in 15 anni di guerra interna. A questo conflitto hanno partecipato varie entità, destabilizzando la maggioranza cristiana (iraniani, siriani, israeliani, libici, algerini e palestinesi). La guerra ha provocato oltre 120.000 morti, 300.000 feriti e più di un milione di civili sfollati e costretti a rifugiarsi in ghetti confessionali. Oltre 1.300 tra sacerdoti e religiosi sono stati trucidati; chiese e conventi con secoli di storia alle spalle sono stati saccheggiati e distrutti. Molte persone sono state uccise sulla sola base di appartenenza ad una determinata religione. Questi orrori sono in contrasto con i silenzi dei mass-media a livello internazionale e con il gran clamore invece per i sassi lanciati dall’intifada in Palestina.
La turbolenza della regione ha spinto, dall’inizio del secolo, molti libanesi ad emigrare verso l’Occidente. Si calcola che i libanesi della diaspora siano 13 milioni, in maggioranza cristiani, a confronto con un milione e mezzo di cristiani rimasti in patria. Sono sparsi come segue:

  • Nord e Centro America 5 milioni
  • America del Sud 7 milioni
  • Oceania 500 mila
  • Europa 300 mila
  • Paesi del Golfo 300 mila

L’emigrazione nei paesi del Golfo è solitamente provvisoria poiché è dovuta soprattutto a motivi di lavoro e generalmente si conclude con il ritorno in patria.
La proporzione degli arabo-cristiani emigrati dal Libano verso l’Occidente è di 7 a 1 rispetto a quelli rimasti; una proporzione che è andata aumentando negli ultimi anni sotto l’occhio impassibile di tutto l’Occidente.

Integralismo in agguato
La chiave di volta per frenare l’emigrazione è la pace nella regione. Riportiamo in questo senso una dichiarazione di Boutros Ghali, segretario generale delle Nazioni Unite: “Non ci può essere sviluppo senza pace e non ci può essere pace senza sviluppo”.
Il problema della ricostruzione del Libano rimane aperto in quanto i capi tali privati sono poco inclini ad investire nelle infrastrutture preferendo in vece il settore immobiliare e turistico. L’investitore che mira al guadagno in tempi brevi non si preoccupa di realizzazioni che generano nuovi impieghi e creano le condizioni per incoraggiare l’iniziativa industriale privata di picco la e media dimensione.
La mancanza di prospettive di lavo ro incoraggia l’emigrazione dei quadri intermedi, tecnici e scienziati, indebolendo la classe media della popolazione che è l’ossatura della democrazia. Il divario tra ricchi e poveri potrebbe aumentare favorendo il malcontento sociale e i gruppi estremisti, religiosi o politici, che cercano di conquistare il potere. La mancanza poi di stabilità rischia di spingere altri cristiani a emigrare. Senza voler affrontare gli aspetti politici del Medio Oriente ritengo interessante fare un parallelismo fra Libano e Israele, riprendendo il commento de “Il Sole24ore” del 15 maggio 1991, anniversario della nascita dello stato d’Israele, sotto il titolo: La Cee offre l’associazione a Israele. Riprendo testualmente “Il ragionamento della diploma zia italiana è questo: se la dinamica di pace troverà finalmente spazio, lo stato ebraico, con la sua democrazia e la sua sviluppata economia di mercato, rischia di trovarsi isolato in un’area dove crescerà la coesione tra i paesi arabi”.
I fattori che potrebbero portare lo stato d’Israele ad un isolazionismo sono gli stessi che minacciano la libera esistenza delle minoranze arabe cristiane minate nelle loro stesse radici dalla rigida applicazione delle leggi islamiche.
A livello internazionale ci si occupa, giustamente, dei problemi dei vari popoli che sono costretti ad emigrare dal proprio paese, soprattutto per motivi politici e religiosi (ad esempio: i Kurdi, i Misquitos del Centro America, i Vietnamiti, i Cambogiani…). Pur troppo il caso degli arabo-cristiani vie ne quasi totalmente ignorato dalla storia, dai mass-media e dalle forze politiche: è in atto così la distruzione di secoli di convivenza e di dialogo interreligioso fra musulmani e cristiani.
La conseguenza di questo stato di tensione è che la paura o la fame o il futuro incerto spingono gli arabi cristiani ad emigrare.
Il futuro della presenza cristiana è il punto centrale del prossimo Sinodo dei Vescovi del Libano, convocato dal Papa.

Pace OLP-Israele
L’accordo firmato fra Israele e l’OLP il 13 settembre scorso ha con gelato la situazione della diaspora palestinese e la comunità internazionale si è impegnata a investire massiccia mente nella regione. Con la stabilità politica di questa turbolenta regione non è impensabile che Israele voglia prendersi la leadership economica per far da ponte fra arabi e Occidente, ruolo un tempo svolto dal Libano la cui stabilità e prosperità erano invidiate dai vicini. Cosa riserva allora il futuro al Libano e alla presenza cristiana nel mondo arabo?
Quarantasette fra stati e organizzazioni internazionali, neanche venti giorni dopo la stretta di mano fra Rabin e Arafat, hanno promesso di tirar fuori due miliardi di dollari da spendere nei prossimi cinque anni nei territori occupati.
Il Ministro degli Esteri della CEE ha dichiarato: “Una popolazione frustrata nelle sue aspirazioni in termini di istruzione, assistenza, salute, prosperità, sarebbe facile preda del disordine politico, continuando a rappresentare una minaccia per la stabilità della regione e del mondo”. Constato che le nazioni si sono impegnate con estrema immediatezza ad aiutare economicamente la nuova realtà israelo-palestinese lasciando il Libano alla mercé di iniziative private guidate dal la logica del profitto, cioè del tanto e presto. Questa politica sacrifica lo sviluppo economico del paese e il benessere della popolazione delegando la Siria a garantire l’ordine sociale minato dalla povertà e dalle strumentalizzazioni fondamentaliste.

Sperare centro ogni speranza
A differenza del mancato appoggio effettivo a Sadat dopo l’accordo di Camp David nel 1978, culminato con il suo assassinio, la comunità internazionale ha finalmente avvertito l’urgenza di rafforzare chi ha avuto il coraggio di scegliere la strada del dialogo e ha prontamente organizzato i finanziamenti a sostegno della pace nella regione.
Gli orizzonti dei progetti in fase di sviluppo alla Banca Mondiale vanno oltre la stretta di mano fra Israele e Olp e mirano alla creazione di una grande regione medio-orientale che si estende a tutto il bacino Sud del Mediterraneo, destinata a diventare un gran de blocco a garanzia della pace e della prosperità economica. L’obiettivo è quello di privilegiare gli interventi comuni, per creare legami più stretti tra Israele, i territori occupati e il resto della regione; far nascere e prosperare una grande zona a mercato unico con la stessa determinazione con la quale si è costruito l’accordo di pace.
Per il Libano si presentano rischi e opportunità. Il rischio è di essere assorbito nell’orbita islamica dei paesi circostanti, diventando una regione anonima come tante altre; tale eventualità aggraverebbe la situazione dei cristiani favorendone l’emigrazione verso migliori orizzonti.
L’opportunità, invece, è quella offerta ai libanesi di ritrovare il loro leggendario spirito imprenditoriale che ha costituito la forza della sua economia e il motore dello sviluppo economico dei paesi del Golfo. Il Libano ha dato origine ai primi tentativi di rilanciare la cultura araba: lingua, letteratura, pensiero filosofico. Con il loro tipico attivismo i discendenti dei Fenici han no seminato nel secolo scorso i primi fermenti politici appianando così la strada per l’indipendenza di tutti i territori che facevano parte dell’impero ottomano.
Il pluralismo religioso, la vivacità della sua cultura che deriva dalla libertà di espressione (unica in un paese arabo del Medio Oriente) danno vigore alla civiltà di questa piccola nazione che potrebbe riprendere il ruolo di gui da nella regione e di ponte fra Oriente e Occidente. L’unico esempio di nazionalismo arabo privo di estremismo religioso: il sogno dell’unità araba tra musulmani, ebrei e cristiani.
L’arrivo in Europa, e ultimamente in Italia, di un forte numero di immigrati arabi ha portato prepotentemente all’attenzione dell’Occidente il mondo arabo. Nello stesso tempo però è emersa la consapevolezza, per la stragrande maggioranza della popolazione, di una conoscenza solo superficiale della cultura di quanti abitano i paesi del Medio Oriente. Gli immigrati, specialmente musulmani, tendono a chiudersi in ghetti; in particolare in Italia la mancanza di idee circa i comportamenti da tenere ha generato notevole difformità favorendo atteggiamenti inadeguati e contrari a una reale integrazione degli immigrati musulmani.
La convivenza secolare di popoli, etnie e religioni diverse sulla stessa terra libanese, con sentimenti convergenti verso la stessa patria, è di esempio per i nostri centri sociali che mira no a una piena integrazione e a una profonda conoscenza reciproca fra i diversi gruppi etnici che ormai abitano il nostro paese.
La sopravvivenza del Libano è molto importante per tutte le minoranze e ancora di più per gli arabo-cristiani, in quanto è un punto di riferimento per la libertà religiosa nel Vicino Oriente arabo a maggioranza musulmana.
I libanesi che risiedono nei paesi occidentali possono a loro modo contribuire allo sviluppo del loro paese di origine. Sappiamo, infatti, che per lo sviluppo integrale di uno stato non è sufficiente la tecnologia; è indispensabile che ad essa si affianchi un’adeguata preparazione culturale per gesti re le trasformazioni. La posizione di ponte maturata nei secoli dagli arabi cristiani fra mondo occidentale e mondo arabo può permettere, a coloro che vivono in Europa e che meglio conoscono la realtà delle società maggior mente sviluppate, di offrire ai propri connazionali le indicazioni in grado di assistere i paesi arabi nel loro sviluppo.
Le responsabilità degli arabi cristiani emigrati in Occidente nei confronti dei loro fratelli rimasti nei paesi di origine sono dunque grandi.
Nei paesi del Medio Oriente, invece, agli arabi cristiani, adeguatamente aiutati dai loro fratelli emigrati, si offre l’opportunità di contribuire ad uno sviluppo che sia rispettoso della pro pria identità.
Conoscenza reciproca, testimonianza da persona a persona, rapporti fra gli stati: su questi tre livelli credo si giochi la possibilità di un nuovo in contro fra le due sponde del Mediterraneo, nella consapevolezza che l’attuale momento storico, con l’avvicinamento anche fisico di mentalità fra loro tanto diverse, ha aperto nuove frontiere nell’orizzonte del dialogo fra ebrei, cristiani e musulmani, uniti nel cammino verso il ventunesimo secolo

Samir Eid Raccolte

Intendono fornire gli strumenti per una inclusione sociale del flusso migratorio, gettare una luce sui diritti umani e la condizione di vita dei cristiani nel mondo islamico da cui proviene l’autore.La conoscenza dell’altro, delle diversità culturali e religiose sono ingredienti primari per creare la pace nei cuori degli uomini ovunque, premessa per una serena convivenza e convinta cittadinanza sul territorio.

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